Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti deve tornare a pubblicare i valori indicativi di riferimento dei costi di esercizio dell’autotrasporto per conto di terzi

Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti deve tornare a pubblicare i valori indicativi di riferimento dei costi di esercizio dell’autotrasporto per conto di terzi

È ancora in vigore l’art. 1 comma 250 della legge n. 190/2014 che prevede che il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti pubblichi e aggiorni nel proprio sito internet valori indicativi di riferimento dei costi di esercizio dell’impresa di autotrasporto per conto di terzi. Tale norma, ma anche la precedente disciplina che prevedeva la fissazione delle tariffe a forcella da parte di un’autorità pubblica non sono contrarie al diritto della concorrenza.
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La regolamentazione delle tariffe dell’autotrasporto ha alimentato un dibattito giurisprudenziale sin dal sistema delle tariffe a forcella.
Il primo insegnamento che si deve trarre dalla giurisprudenza è la compatibilità della regolamentazione delle tariffe dell’autotrasporto con le norme a tutela della concorrenza stabilite nel Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea purchè siano rispettata alcune condizioni.
Il sistema delle tariffe a forcella fu, infatti, ritenuto legittimo dalla Corte di Giustizia nelle sentenze Librandi e Spediporto dove si legge:
“Gli artt. 3, lett. g), 5, 85, 86 e 90 nonché l’art. 30 del Trattato CE non ostano a che la normativa di uno Stato membro preveda che le tariffe dei trasporti di merci su strada siano approvate e rese esecutive dalla pubblica autorità, sulla base di proposte di un comitato, se quest’ultimo è composto da una maggioranza di rappresentanti dei pubblici poteri, a fianco di una minoranza di rappresentanti degli operatori economici interessati, e deve rispettare nelle sue proposte determinati criteri di interesse pubblico e se, peraltro, i pubblici poteri non rinunciano alle loro prerogative, tenendo conto, prima dell’approvazione delle proposte, dei rilievi di altri enti pubblici e privati, o addirittura fissando le tariffe d’ufficio.”
Il sistema dei costi minimi determinati dall’Osservatorio sulle attività dell’autotrasporto è stato, invece bocciato dalla Corte di Giustizia nelle cause riunite da C-184/13 a C-187/13, C-194/13, C-195/13 e C-208/13 in quanto l’Osservatorio è stato ritenuto essere un’associazione di imprese ai sensi dell’Art. 101 del TFUE e le sue determinazioni dei costi minimi equivalenti ad una fissazione orizzontale di tariffe minime imposte.
Della citata sentenza sono dilagate letture ambigue, volte a estendere la censura della Corte di Giustizia oltre a quanto inteso dalla Corte stessa. In particolare l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (in seguito AGCM), con il proprio parere del 15 Aprile 2015 ha ritenuto che la pubblicazione da parte del MIT dei costi di esercizio per l’attività di autotrasporto per conto di terzi come prevista dalla legge n. 190/2014 art.1 in grado di riprodurre i costi minimi, la cui contrarietà alle norme di diritto di concorrenza sarebbe stata affermata dalla citata sentenza della Corte di Giustizia del 4 settembre 2014.
L’affermazione dell’AGCM secondo cui i costi minimi sarebbe in ogni caso contrari alle norme di diritto della concorrenza è stata però smentita dalla stessa Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Con l’ordinanza del 21 giugno 2016 nel caso C-121/16, la Corte di Giustizia ha affermato che i costi minimi se determinati da un’amministrazione nazionale sono compatibili con il diritto dell’Unione europea.
La legittimità dei costi minimi determinati dal MIT è stata affermata anche dalla Corte Costituzionale, anch’essa chiamata a pronunciarsi sul regime transitorio che rimetteva la determinazione dei costi minimi al Ministero delle infrastrutture e trasporti. Con sentenza n. 47 pronunciata il 7 febbraio 2018, la Corte Costituzionale ha ritenuto non configurabile la paventata lesione della libertà d’iniziativa economica allorchè l’apposizione di limiti di ordine generale al suo esercizio corrisponda all’utilità sociale, così come sancito dall’art. 41 Cost.
Pertanto, la contrarietà espressa dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato all’applicazione del comma 250 dell’art. 1 della legge n. 190/2014 che prevede che il MIT pubblichi in maniera autonoma i valori indicativi di riferimento dei costi di esercizio dell’impresa di autotrasporto per conto di terzi non appare giustificata nè dal diritto dell’Unione europea in materia di tutela della concorrenza nè dai principi fondamentali del nostro ordinamento.
Occorre evidenziare che il parere dell’AGCM è un mero parere che in quanto tale non ha autorità per stabilire l’illegittimità della norma né degli atti amministrativi. L’Autorità non è un organo giurisdizionale e non dispone del potere di dichiarare l’illegittimità di un atto amministrativo, né tantomeno di una determinata norma. È esclusivamente l’autorità Giudiziaria, in particolare il TAR, che può stabilire l’illegittima dell’atto amministrativo contrario alle norme dell’Unione europea in materia di concorrenza ed eventualmente rinviare alla Corte Costituzionale o alla Corte di Giustizia questioni in merito alla legittimità delle norme nazionali.
In conclusione, i valori indicativi di riferimento dei costi di esercizio dell’impresa di autotrasporto per conto di terzi, che ai sensi del comma 250 dell’art. 1 della legge n. 190/2014 dovrebbero essere pubblicati dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, non sono stati ritenuti illegittimi né dei giudici amministrativi nazionali, né della Corte di Giustizia né tanto meno della Corte Costituzionale. Ad oggi, pertanto, Il MIT continua ad essere obbligato a pubblicare i valori indicativi di riferimento.
Qualsiasi soggetto che abbia un legittimo interesse può diffidare il MIT ad ottemperare a quanto previsto dalla norma, ovvero a pubblicare i valori indicativi di riferimento dei costi di esercizio. In caso di rifiuto o inadempimento è anche possibile agire in giudizio

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