La Corte d’Appello di Milano si pronuncia sulla transazione, sugli artt. 1440 - 1337 c.c., sugli obblighi di informazione nella conclusione del contratto e sul giudicato

La Corte d’Appello di Milano si pronuncia sulla transazione, sugli artt. 1440 - 1337 c.c., sugli obblighi di informazione nella conclusione del contratto e sul giudicato

La decisione della Corte territoriale milanese, in conferma della sentenza di primo grado, assume particolare interesse per l’aver affrontato delicate e decisive questioni di diritto, passando dal generale tema del giudicato a quello degli obblighi di correttezza e buonafede nell’esecuzione dei contratti e nell’ammissibilità dell’impugnazione della transazione per dolo incidente.
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La pronuncia emessa dalla Corte d’Appello di Milano, con la quale è stata confermata la precedente statuizione di primo grado, ha accolto integralmente le tesi difensive dell’Avv. Enrico Scoccini in ordine alla portata del principio del dedotto e deducibile in tema di giudicato , degli obblighi a carico delle parti nell’esecuzione del contratto ed in particolare sul rilievo del silenzio, ed infine sull’ammissibilità dell’impugnazione per transazione per dolo incidente.
In primo luogo, il tribunale si è espresso sui limiti di applicabilità dell’eccezione di giudicato che, coprendo il dedotto e il deducibile, avrebbe impedito di eccepire l’inadempimento da parte del convenuto nei confronti dell’attrice, poiché avrebbe rappresentato questione accertata definitivamente in una precedente pronuncia. Ciò che viene puntualizzato dalla Corte è che, per poter ritenere il giudicato operante come preclusione (per la parte di far valere un’eccezione definitivamente decisa in un diverso giudizio e per il giudice di decidere sulla stessa), occorre tanto che ci si trovi difronte a due giudizi che abbiano per oggetto un medesimo negozio o rapporto giuridico e che uno dei due procedimenti lo abbia definito con sentenza passata in giudicato, quanto che il punto controverso sia stato oggetto di specifico accertamento da parte del primo organo giudicante. Accertamento che non deve ridursi ad un esame incidenter tantum della questione, in quanto il concetto di “deducibile” non può essere esteso fino a ricomprendere all’interno del decisum qualsiasi questione che abbia una qualche assonanza con lo stretto oggetto del giudicato. Nel caso di specie, il Giudice non ha rinvenuto il verificarsi di queste condizioni essenziali.
In stretta connessione con tale statuizione, il Giudice di secondo grado ha avuto modo di esprimersi anche in merito alla portata del disposto dell’art. 183, comma 6, con specifico riguardo alla possibilità per la parte di specificare la propria domanda in sede di memorie successive alla prima udienza. La questione sorge in seguito all’asserita tardività dell’eccezione di inadempimento sollevata in termini espliciti dalla parte vincitrice proprio in sede di prima memoria ex art. 183, comma 6. Evidenzia sul punto la Corte che, come affermato parimenti in giurisprudenza di legittimità, fermo restando che la modifica della domanda non comporti un eccessivo allungamento dei tempi del processo o una lesione del diritto di difesa della controparte, l’art. 183 c.p.c. consente una modificazione della domanda che possa incidere tanto sul petitum quanto sulla causa petendi, purché sussista una connessione tra la nuova domanda così formulata e la vicenda sostanziale dedotta in giudizio. Connessione che, nel contezioso oggetto della pronuncia che si commenta, è stata rilevata negli atti processuali dell’eccepente fin dalla sua comparsa di costituzione e risposta, anche se non esplicitata nella sua pienezza in quella sede.
Conclusiva questione di interesse giuridico attiene all’interpretazione e all’ambito di applicazione degli artt. 1337 (disciplinante il generale principio di buona fede nella fase delle trattative e in quella di formazione del contratto) e 1440 c.c. (disciplinante il dolo incidente), che l’attrice poneva a fondamento della propria richiesta risarcitoria per non essere stata informata dal convenuto/controparte contrattuale del contenuto del diverso accordo che quest’ultimo stava concludendo con un soggetto terzo, subendo in questo modo un raggiro. Specificava l’attrice che tale mancata informazione gli avrebbe cagionato un danno in quanto, se fosse stata informata correttamente, avrebbe concluso il contratto con lo stesso convenuto a condizioni differenti. La decisione della Corte conferma quanto già prospettato dall’Avv. Enrico Scoccini negli atti difensivi prodotti in giudizio, per cui nel diritto delle obbligazioni la tutela garantita dal citato art. 1440 c.c. opera nei confronti dei soli soggetti che stanno trattando la conclusione dell’accordo e non anche nei confronti di un soggetto terzo estraneo al medesimo rapporto. Allo stesso modo, il generale principio di buona fede che impone di informare la controparte degli elementi necessari per formarsi un’idea esatta del contratto (ad es. uno per tutti, il dovere di informare sulla presenza di cause di invalidità del contratto) non si estende all’obbligo di informare la controparte contrattuale dei termini di un separato accordo, concluso o concludendo, con un terzo. Ciò rilevato, la Corte ha rigettato la richiesta di risarcimento danni avanzata dalla parte attrice perché la condotta del convenuto, consistita appunto nella contrattazione con un soggetto terzo senza informare la stessa attrice estranea al rapporto, non presentava alcun nesso di causalità con l’asserito danno subito da quest’ultima e risarcibile ai sensi dell’art. 1440 c.c. o, ancora meno, ai sensi dell’art. 2043 c.c.
Transazione – impugnazione 1440 - 1337 c.c. dolo incidente. Obblighi di informazione nella conclusione del contratto. Inammissibilità. Giudicato - principio del dedotto e del deducibile

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